Leonardo

Fascicolo 12


Il David della Filosofia Inglese
(F. C. S. Schiller) (I)
di Giuliano il Sofista (Giuseppe Prezzolini)
pp. 1-3


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   Riddles of the Sphinx. «A study in the Philosophy of Evolution, by a TROGLODYTE». London, Swan Sonnenschein and Co. 1891, p. XXVII, 468.
Mind! a unique review of ancient and modera philosophy edited by a TROGLODYTE, with the cooperation of THE ABSOLUTE and others, 1901, p. 140.
Personal Idealism, philosophical essays by eight members of the university of Oxford, edited by HENRY STURT. Macmillan. London, 1902, pagine VIII, 394.
Humanism, philosophical essays, by F. C. S. SHILLER. Macmillan. London, 1903, p. XXV, 294.
Psychology and Psychical Research: a reply to Professor Münsterberg, by F. C. S. SHILLER, from Proceedings of the Society for Psychical Research. July, 1899.

   Un bel giorno, quando gli uomini saranno stanchi di grattare la carta con le stridule penne, e di fare battaglie di parole e viaggi di fiato e amori di settenari e filosofie in folio, allora racconteranno delle belle leggende e muteranno in tante favole i grandi sistemi e le enormi metafisiche del passato. Allora F. C. S. Schiller, sarà chiamato il David della Filosofia Inglese.
   Racconteranno gli uomini di un re gigante cacciato dalla Germania, passato con grave bagaglio di frasi rimbombanti alla conquista della Brittania; e narreranno della lunga tediosa e sconfortante tirannia dell'Assoluto. Re Hegel si è vendicato di Hastings; il genio nordico sui campi di battaglia della metafisica, ha preso la rivincita per forza di parole, della sconfitta che il genio latino aveva inflitto per forza di freccie ai biondi Sassoni.
   Il loquace Hegel con la magìa delle parole incomprensibili come formule ieratiche, ha vinto le corazze di Guglielmo il Conquistatore. A Oxford e a Cambridge, gli scritti del Bradley e del Green sono il tributo di sudditanza che l'Inghilterra latinizzata pa alla Germania. I grandi filosofi inglesi, materialisti come l'Hobbes, idealisti come il Collier e il Berkeley, criticisti come lo Hume, analisti come il Mill, furono sempre geni di tipo francese; e appena quà e là, velato di platonismo è apparso il tipo del pensiero nordico nel Cudworth o nel Moro. Il Bradley e il Green sono oggi filosofi anti-nazionali, innestati di germanismo, piante da serra che han bisogno di concime straniero per vivere.
   Come tutti i conquistatori, così gli hegeliani inglesi si sono formati in casta; e poichè si tratta di cose intellettuali la loro casta è stata accademica e professorale. Essi hanno venduto e fatto ingozzare Hegel all'ingrosso e al minuto, in grossi trattati e in articoletti, in recensioni e in traduzioni, moltiplicando le chiavi e le porte per conoscere questo tesoro, polverizzandolo nell'aria in modo che entrando in Oxford si sentiva fino a poco fa puzzo di Hegel in ogni cattedra filosofica o profana. L'Assoluto faceva le spese di tutto, e scendeva ogni tanto dal suo cielo velato d'incenso, come il deus ex-machina nelle tragedie di Euripide per sciogliere l'intreccio troppo complicato, così lui per risolvere nelle università inglesi i ragionamenti non troppo regolari dei catecumeni di Hegel. L'Assoluto fondeva ogni discordanza, faceva da paciere in ogni lite, accomodava ogni questione, ed univa in una superiore armonia l'essere e il nulla, il bianco e il nero, il maschile e il femminile, il profano e il religioso; egli stesso sintesi, principio, fine, mezzo, in una parola assoluto. Questo giudice conciliatore si permetteva anche d'essere il surrogato economico di Domine Iddio cattolico e protestante.
   Pare che a F. C. S. Schiller non andasse troppo a garbo questa supremazia straniera. Buon inglese, e valente scrittore, non si compiaceva troppo nei barbarismi e nei tedeschismi dei neo-hegeliani; e quella filosofia verbale urtava i suoi nervi di inglese pratico ben radicato al terreno della realtà, che vuol partir da se stesso, magari per grandi voli, ma sempre dal solido terreno dell'Io. Un buon individualista non poteva sopportare questa filosofia per tutti, che forniva una verità unica per tutte le menti e l'imponeva con la cultura forzata delle Università. La storia della filosofia gli aveva mostrato che un sistema filosofico è una creazione unica e personale di cui neppure la più servile disciplina mentale può trasfondere tutto l'aroma in un'altra mente. E la stessa storia gli aveva insegnato la grande antitesi fra lo spirito della vita e quello della scuola. Quest'ultimo «è uno spirito di pedanteria sterilizzante che schiva la bellezza, teme la chiarezza, detesta la vita e la grazia, uno spirito che s'avvoltola nel fango dei torbidi tecnicismi, si seppellisce nelle tane da coniglio delle ricerche senza valore e si nasconde alla vista umana con le nubi polverose che esso solleva dalle seccate anticaglie che lo coprono». Verbalismo e Scolasticismo egli trovò nella filosofia dominante; allora sì accinse a distruggerla. Come i buoni crociati d'un tempo egli ebbe un patrono in W. James, una corazza nel suo stile, una catapulta nel suo sistema e un nugolo di freccie leggermente avvelenate per i difensori di Hegel nei suoi sarcasmi. Contro la vuotaggine e contro la scuola egli richiamò l'uomo, e dette al suo metodo un nome dolce per gli italiani: Umanesimo.
   Carroccio della Lega Hegeliana Inglese, è in questi tempi la rivista Mind, dove si agglomerano e si aggrovigliano gli intricati glossatori, delucidatori, espositori, seguaci delle dottrine di Hegel; arca santa dell'Assoluto, grave, seria e noiosa come s'addice ad una siffatta autorizzata fornitrice del Verbo ufficiale ogni tre mesi dell'anno, pronuncia le sue sentenze, informa i suoi lettori sui libri per bene, li mette in guardia contro quelli non ortodossi. È un Sillabo periodico e un trimensile «Index librorum prohibitorum.» Non si creda però che sia troppo se-vera, nè osi dir male dei suoi avversari; come tutte le accademie si contenta di dominare e schiacciare per forza di inerzia senza muovere grande battaglie; non ha fra i suoi fasti nè sconfitte nè vittorie: è fuori d'ogni vita vissuta.
   F. C. S. Schiller mosse prima contro questa, facendosi editore del Mind! numero unico di una rivista caricatura del Mind ufficiale; a questo numero unico hanno collaborato molti altri filosofi, ma l'idea appartiene al nostro fondatore. Dalla testata agli annunzi alla réclame, dal ritratto dell'Assoluto in prima pina, fino alle interviste con Hegel e con Kant, dagli aforismi resuscitati di Eraclito ai frammenti postumi di Nietzsche, degli epigrammi in versi a quelli in prosa, i rivoluzionari del Mind! hanno adoprato ascia e frusta da tutte le parti senza risparmiare nessuno, talvolta neppure loro stessi. I premi filosofici di Lady Welby e il Monismo (Moneyism, come lo chiamano) del Carus, l'assoluto del Bradley e i lavori del Taggart, tutto veniva punzecchiato, deriso, malconcio, con uno spirito e una leggerezza di stile e di immaginazione insolita fra i filosofi inglesi. Dialoghi, commedie, articoli semi-seri, tutte le forme della letteratura venivano chiamate in aiuto per questa guerriglia; si attaccava intanto con manipoli, preparando poi l'attacco con legioni; e si adoprava intanto il riso, perchè il riso è come le favolose trombe di Gerico, l'arma così potente da far cadere ogni muro.
   F. C. S. Schiller non può soffrire i professori di filosofia (fra parentesi credo che ne faccia parte anche lui). Se il linguaggio è la prima catena che gli uomini trovano foggiata per il loro pensiero, bisogna riconoscere che chi più brutalmente se ne serve per farci rachitici intellettualmente e moralmente, sono i nostri maestri; ma soprattutto i professori di filosofia. Lo Schiller è ben penetrato della ridicola stuonatura di questa frase: professore di filosofia. Ogni tentativo verso un vero metodo di vitalità filosofica deve tendere prima ad abbattere le cattedre e le accademie del pensiero. Egli mi scriveva: «Voi dite bene che la filosofia s'ha da trasformare in vita; ma la difficoltà appare subito quando si pensa che il primo passo dovrà urtare la testa dei filosofi professionali.»
   La lotta è dunque necessaria, ed è lotta per la vita filosofica. Nè deve essere poi fatta con paroline melate e con argomenti imburrati e malignità zuccherate. Quando il Müsterberg generale nello stato maggiore della «unica genuina psicologia» trattò sprezzantemente dall'altezza dei suoi enormi lavoroni e delle sue lungaggini fisiologiche le libere ricerche dei fenomeni psichici, lo Schiller gli rispose con un modello di phamplet, la cui prima frase era la seguente: Boss locutus est!
   Eravamo così stanchi della filosofia educata, senza lievito, moscia e vizza come un budello sgonfiato, senza passione per le idee, fatta con l'interesse e con i metodi di un calzolaio o di uno spazzino, ridotta o a fornitura di eguali stivali filosofici buoni per tutti i piedi, o a raccolta accurata di tutte le immondezze del passato, che l'avere trovato finalmente non più un professore ma un filosofo, non un sistema ma una vita, ci ha fatto levare quest'inno a F. C. S. Schiller, David ed Aristofane insieme, armato d'ascia e di scudiscio, cavaliere dal ghigno mordente, e un poco compno di quel Mefistofele su cui ha scritto pagine così fini.
   Oggi abbiamo accennato al distruttore; presto parleremo dell'edificatore; la seconda parte di questo saggio sarà infatti dedicato alla Teoria della Verità nello Schiller.

(I) Avevo intenzione fin dal Dicembre di parlare dello Schiller. Ma queste mie parole tornano ancora più opportune oggi in cui il Gentile ci presenta come un'aurora, come una rinascita, quello che forse è un crepuscolo e una decadenza: cioè il neo-hegelianismo inglese (vedi: La Critica, 1904, 20 Gennaio, p. 29-45). Capisco che in Italia è segno di coraggio l'affermarsi hegeliani, e dopo tutto, meglio hegeliani che positivisti, meglio De Sarlo che Sergi; ma confesso anche che si potrebbe fare qualche cosa di meglio che non rappezzare vecchi panni sdruciti e galvanizzare cadaveri.
   Perchè dopo James e lo Schiller occuparsi tanto di un movimento che è nella sua stessa forma di commento o spiegazione o volgarizzazione o storia (lavori del Baillie, M. Taggart, Mackintosch ecc.) essenzialmente scolastico? e come mai La Critica, che in Italia non passa per accademica, e non lo è, sostiene poi l'accademismo inglese? Pubblicheremo nei prossimi numeri uno scritto di F. C. S. Schiller; e Gian Falco parlerà di un altro inglese assai poco noto, ma, come lo Schiller, nostro lontano parente, H. Brewster.



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